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C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male
Gli erano nati sette figli e tre figlie
possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest'uomo era il più grande fra tutti i figli d'oriente
Ora i suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare anche le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme
Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti secondo il numero di tutti loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno offeso Dio nel loro cuore». Così faceva Giobbe ogni volta
Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro
Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa»
Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male»
Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla
Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra
Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!»
Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore
Ora accadde che un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del fratello maggiore
un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi
quando i Sabei sono piombati su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo»
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato io solo che ti racconto questo»
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo»
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro fratello maggiore
quand'ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato io solo che ti racconto questo»
Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostr
e disse: e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!»
In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto
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Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore
Il Signore disse a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra che ho percorsa»
Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui, senza ragione, per rovinarlo»
Satana rispose al Signore: «Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita
Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!»
Il Signore disse a satana: «Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita»
Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo
Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere
Allora sua moglie disse: «Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!»
Ma egli le rispose: «Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?»
Nel frattempo tre amici di Giobbe erano venuti a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita, e si accordarono per andare a condolersi con lui e a consolarlo
Alzarono gli occhi da lontano ma non lo riconobbero e, dando in grida, si misero a piangere. Ognuno si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere
Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore
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Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno
prese a dire
Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «E' stato concepito un uomo!»
Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall'alto, né brilli mai su di esso la luce
Lo rivendichi tenebra e morte, gli si stenda sopra una nube e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno
Quel giorno lo possieda il buio non si aggiunga ai giorni dell'anno, non entri nel conto dei mesi
Ecco, quella notte sia lugubre e non entri giubilo in essa
La maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti a evocare Leviatan
Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, speri la luce e non venga; non veda schiudersi le palpebre dell'aurora
poiché non mi ha chiuso il varco del grembo materno, e non ha nascosto l'affanno agli occhi miei
E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo
Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi
Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pac
con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei
o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d'argento
Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce
Laggiù i malvagi cessano d'agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze
I prigionieri hanno pace insieme, non sentono più la voce dell'aguzzino
Laggiù è il piccolo e il grande, e lo schiavo è libero dal suo padrone
Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l'amarezza nel cuore
a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro
che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba..
a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato
Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua
perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge
Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento
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Elifaz il Temanita prese la parola e disse
Se si tenta di parlarti, ti sarà forse gravoso? Ma chi può trattenere il discorso
Ecco, tu hai istruito molti e a mani fiacche hai ridato vigore
le tue parole hanno sorretto chi vacillava e le ginocchia che si piegavano hai rafforzato
Ma ora questo accade a te e ti abbatti; capita a te e ne sei sconvolto
La tua pietà non era forse la tua fiducia e la tua condotta integra, la tua speranza
Ricordalo: quale innocente è mai perito e quando mai furon distrutti gli uomini retti
Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie
A un soffio di Dio periscono e dallo sfogo della sua ira sono annientati
Il ruggito del leone e l'urlo del leopardo e i denti dei leoncelli sono frantumati
Il leone è perito per mancanza di preda e i figli della leonessa sono stati dispersi
A me fu recata, furtiva, una parola e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro
Nei fantasmi, tra visioni notturne, quando grava sugli uomini il sonno
terrore mi prese e spavento e tutte le ossa mi fece tremare
un vento mi passò sulla faccia, e il pelo si drizzò sulla mia carne..
Stava là ritto uno, di cui non riconobbi l'aspetto, un fantasma stava davanti ai miei occhi... Un sussurro..., e una voce mi si fece sentire
«Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l'uomo davanti al suo creatore
Ecco, dei suoi servi egli non si fida e ai suoi angeli imputa difetti
quanto più a chi abita case di fango, che nella polvere hanno il loro fondamento! Come tarlo sono schiacciati
annientati fra il mattino e la sera: senza che nessuno ci badi, periscono per sempre
La funicella della loro tenda non viene forse strappata? Muoiono senza saggezza!»
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Chiama, dunque! Ti risponderà forse qualcuno? E a chi fra i santi ti rivolgerai
Poiché allo stolto dà morte lo sdegno e la collera fa morire lo sciocco
Io ho visto lo stolto metter radici, ma imputridire la sua dimora all'istante
I suoi figli sono lungi dal prosperare, sono oppressi alla porta, senza difensore
l'affamato ne divora la messe e gente assetata ne succhia gli averi
Non esce certo dalla polvere la sventura né germoglia dalla terra il dolore
ma è l'uomo che genera pene, come le scintille volano in alto
Io, invece, mi rivolgerei a Dio e a Dio esporrei la mia causa
a lui, che fa cose grandi e incomprensibili, meraviglie senza numero
che dà la pioggia alla terra e manda le acque sulle campagne
Colloca gli umili in alto e gli afflitti solleva a prosperità
rende vani i pensieri degli scaltri e le loro mani non ne compiono i disegni
coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia e manda in rovina il consiglio degli scaltri
Di giorno incappano nel buio e brancolano in pieno sole come di notte
mentre egli salva dalla loro spada l'oppresso, e il meschino dalla mano del prepotente
C'è speranza per il misero e l'ingiustizia chiude la bocca
Felice l'uomo, che è corretto da Dio: perciò tu non sdegnare la correzione dell'Onnipotente
perché egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana
Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male
nella carestia ti scamperà dalla morte e in guerra dal colpo della spada
sarai al riparo dal flagello della lingua, né temerai quando giunge la rovina
Della rovina e della fame ti riderai né temerai le bestie selvatiche
con le pietre del campo avrai un patto e le bestie selvatiche saranno in pace con te
Conoscerai la prosperità della tua tenda, visiterai la tua proprietà e non sarai deluso
Vedrai, numerosa, la prole, i tuoi rampolli come l'erba dei prati
Te ne andrai alla tomba in piena maturità, come si ammucchia il grano a suo tempo
Ecco, questo abbiamo osservato: è così. Ascoltalo e sappilo per tuo bene
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Allora Giobbe rispose
Se ben si pesasse il mio cruccio e sulla stessa bilancia si ponesse la mia sventura..
certo sarebbe più pesante della sabbia del mare! Per questo temerarie sono state le mie parole
perché le saette dell'Onnipotente mi stanno infitte, sì che il mio spirito ne beve il veleno e terrori immani mi si schierano contro
Raglia forse il somaro con l'erba davanti o muggisce il bue sopra il suo foraggio
Si mangia forse un cibo insipido, senza sale? O che gusto c'è nell'acqua di malva
Ciò che io ricusavo di toccare questo è il ributtante mio cibo
Oh, mi accadesse quello che invoco, e Dio mi concedesse quello che spero
Volesse Dio schiacciarmi, stendere la mano e sopprimermi
Ciò sarebbe per me un qualche conforto e gioirei, pur nell'angoscia senza pietà, per non aver rinnegato i decreti del Santo
Qual la mia forza, perché io possa durare, o qual la mia fine, perché prolunghi la vita
La mia forza è forza di macigni? La mia carne è forse di bronzo
Non v'è proprio aiuto per me? Ogni soccorso mi è precluso
A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio
I miei fratelli mi hanno deluso come un torrente, sono dileguati come i torrenti delle valli
i quali sono torbidi per lo sgelo, si gonfiano allo sciogliersi della neve
ma al tempo della siccità svaniscono e all'arsura scompaiono dai loro letti
Deviano dalle loro piste le carovane, avanzano nel deserto e vi si perdono
le carovane di Tema guardano là, i viandanti di Saba sperano in essi
ma rimangono delusi d'avere sperato, giunti fin là, ne restano confusi
Così ora voi siete per me: vedete che faccio orrore e vi prende paura
Vi ho detto forse: «Datemi qualcosa» o «dei vostri beni fatemi un regalo
o «liberatemi dalle mani di un nemico» o «dalle mani dei violenti riscattatemi»
Istruitemi e allora io tacerò, fatemi conoscere in che cosa ho sbagliato
Che hanno di offensivo le giuste parole? Ma che cosa dimostra la prova che viene da voi
Forse voi pensate a confutare parole, e come sparsi al vento stimate i detti di un disperato
Anche sull'orfano gettereste la sorte e a un vostro amico scavereste la fossa
Ma ora degnatevi di volgervi verso di me: davanti a voi non mentirò
Su, ricredetevi: non siate ingiusti! Ricredetevi; la mia giustizia è ancora qui
C'è forse iniquità sulla mia lingua o il mio palato non distingue più le sventure
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Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario
Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario
così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate
Se mi corico dico: «Quando mi alzerò?». Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba
Ricoperta di vermi e croste è la mia carne, raggrinzita è la mia pelle e si disfà
I miei giorni sono stati più veloci d'una spola, sono finiti senza speranza
Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene
Non mi scorgerà più l'occhio di chi mi vede: i tuoi occhi saranno su di me e io più non sarò
Una nube svanisce e se ne va, così chi scende agl'inferi più non risale
non tornerà più nella sua casa, mai più lo rivedrà la sua dimora
Ma io non terrò chiusa la mia bocca, parlerò nell'angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore
Son io forse il mare oppure un mostro marino, perché tu mi metta accanto una guardia
Quando io dico: «Il mio giaciglio mi darà sollievo, il mio letto allevierà la mia sofferenza»
tu allora mi spaventi con sogni e con fantasmi tu mi atterrisci
Preferirei essere soffocato, la morte piuttosto che questi miei dolori
Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo. Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni
Che è quest'uomo che tu nei fai tanto conto e a lui rivolgi la tua attenzion
e lo scruti ogni mattina e ad ogni istante lo metti alla prova
Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva
Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, o custode dell'uomo? Perché m'hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso
Perché non cancelli il mio peccato e non dimentichi la mia iniquità? Ben presto giacerò nella polvere, mi cercherai, ma più non sarò
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Allora prese a dire Bildad il Suchita
Fino a quando dirai queste cose e vento impetuoso saranno le parole della tua bocca
Può forse Dio deviare il diritto o l'Onnipotente sovvertire la giustizia
Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, li ha messi in balìa della loro iniquità
Se tu cercherai Dio e implorerai l'Onnipotente
se puro e integro tu sei, fin d'ora veglierà su di te e ristabilirà la dimora della tua giustizia
piccola cosa sarà la tua condizione di prima, di fronte alla grandezza che avrà la futura
Chiedilo infatti alle generazioni passate, poni mente all'esperienza dei loro padri
perché noi siamo di ieri e nulla sappiamo, come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra
Essi forse non ti istruiranno e ti parleranno traendo le parole dal cuore
Cresce forse il papiro fuori della palude e si sviluppa forse il giunco senz'acqua
E' ancora verde, non buono per tagliarlo, e inaridisce prima d'ogni altra erba
Tale il destino di chi dimentica Dio, così svanisce la speranza dell'empio
la sua fiducia è come un filo e una tela di ragno è la sua sicurezza
si appoggi alla sua casa, essa non resiste, vi si aggrappi, ma essa non regge
Rigoglioso sia pure in faccia al sole e sopra il giardino si spandano i suoi rami
sul terreno sassoso s'intreccino le sue radici, tra le pietre attinga la vita
Se lo si toglie dal suo luogo, questo lo rinnega: «Non t'ho mai visto!»
Ecco la gioia del suo destino e dalla terra altri rispuntano
Dunque, Dio non rigetta l'uomo integro, e non sostiene la mano dei malfattori
Colmerà di nuovo la tua bocca di sorriso e le tue labbra di gioia
I tuoi nemici saran coperti di vergogna e la tenda degli empi più non sarà
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Giobbe rispose dicendo
In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione innanzi a Dio
Se uno volesse disputare con lui, non gli risponderebbe una volta su mille
Saggio di mente, potente per la forza, chi s'è opposto a lui ed è rimasto salvo
Sposta le montagne e non lo sanno, egli nella sua ira le sconvolge
Scuote la terra dal suo posto e le sue colonne tremano
Comanda al sole ed esso non sorge e alle stelle pone il suo sigillo
Egli da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare
Crea l'Orsa e l'Orione, le Pleiadi e i penetrali del cielo australe
Fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare
Ecco, mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non m'accorgo
Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire? Chi gli può dire: «Che fai?»
Dio non ritira la sua collera: sotto di lui sono fiaccati i sostenitori di Raab
Tanto meno io potrei rispondergli, trovare parole da dirgli
Se avessi anche ragione, non risponderei, al mio giudice dovrei domandare pietà
Se io lo invocassi e mi rispondesse, non crederei che voglia ascoltare la mia voce
Egli con una tempesta mi schiaccia, moltiplica le mie piaghe senza ragione
non mi lascia riprendere il fiato, anzi mi sazia di amarezze
Se si tratta di forza, è lui che dà il vigore; se di giustizia, chi potrà citarlo
Se avessi ragione, il mio parlare mi condannerebbe; se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo
Sono innocente? Non lo so neppure io, detesto la mia vita
Per questo io dico: «E' la stessa cosa»: egli fa perire l'innocente e il reo
Se un flagello uccide all'improvviso, della sciagura degli innocenti egli ride
La terra è lasciata in balìa del malfattore: egli vela il volto dei suoi giudici; se non lui, chi dunque sarà
I miei giorni passano più veloci d'un corriere, fuggono senza godere alcun bene
volano come barche di giunchi, come aquila che piomba sulla preda
Se dico: «Voglio dimenticare il mio gemito, cambiare il mio volto ed essere lieto»
mi spavento per tutti i miei dolori; so bene che non mi dichiarerai innocente
Se sono colpevole, perché affaticarmi invano
Anche se mi lavassi con la neve e pulissi con la soda le mie mani
allora tu mi tufferesti in un pantano e in orrore mi avrebbero le mie vesti
Poiché non è uomo come me, che io possa rispondergli: «Presentiamoci alla pari in giudizio»
Non c'è fra noi due un arbitro che ponga la mano su noi due
Allontani da me la sua verga sì che non mi spaventi il suo terrore
allora io potrò parlare senza temerlo, perché così non sono in me stesso
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Stanco io sono della mia vita! Darò libero sfogo al mio lamento, parlerò nell'amarezza del mio cuore
Dirò a Dio: Non condannarmi! Fammi sapere perché mi sei avversario
E' forse bene per te opprimermi, disprezzare l'opera delle tue mani e favorire i progetti dei malvagi
Hai tu forse occhi di carne o anche tu vedi come l'uomo
Sono forse i tuoi giorni come i giorni di un uomo, i tuoi anni come i giorni di un mortale
perché tu debba scrutare la mia colpa e frugare il mio peccato
pur sapendo ch'io non sono colpevole e che nessuno mi può liberare dalla tua mano
Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte; vorresti ora distruggermi
Ricordati che come argilla mi hai plasmato e in polvere mi farai tornare
Non m'hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio
Di pelle e di carne mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto
Vita e benevolenza tu mi hai concesso e la tua premura ha custodito il mio spirito
Eppure, questo nascondevi nel cuore, so che questo avevi nel pensiero
Tu mi sorvegli, se pecco, e non mi lasci impunito per la mia colpa
Se sono colpevole, guai a me! Se giusto, non oso sollevare la testa, sazio d'ignominia, come sono, ed ebbro di miseria
Se la sollevo, tu come un leopardo mi dai la caccia e torni a compiere prodigi contro di me
su di me rinnovi i tuoi attacchi, contro di me aumenti la tua ira e truppe sempre fresche mi assalgono
Perché tu mi hai tratto dal seno materno? Fossi morto e nessun occhio m'avesse mai visto
Sarei come se non fossi mai esistito; dal ventre sarei stato portato alla tomba
E non son poca cosa i giorni della mia vita? Lasciami, sì ch'io possa respirare un poc
prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte
terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre
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Allora Zofar il Naamatita prese la parola e disse
A tante parole non si darà risposta? O il loquace dovrà aver ragione
I tuoi sproloqui faranno tacere la gente? Ti farai beffe, senza che alcuno ti svergogni
Tu dici: «Pura è la mia condotta, io sono irreprensibile agli occhi di lui»
Tuttavia, volesse Dio parlare e aprire le labbra contro di te
per manifestarti i segreti della sapienza, che sono così difficili all'intelletto, allora sapresti che Dio ti condona parte della tua colpa
Credi tu di scrutare l'intimo di Dio o di penetrare la perfezione dell'Onnipotente
E' più alta del cielo: che cosa puoi fare? E' più profonda degli inferi: che ne sai
Più lunga della terra ne è la dimensione, più vasta del mare
Se egli assale e imprigiona e chiama in giudizio, chi glielo può impedire
Egli conosce gli uomini fallaci, vede l'iniquità e l'osserva
l'uomo stolto mette giudizio e da ònagro indomito diventa docile
Ora, se tu a Dio dirigerai il cuore e tenderai a lui le tue palme
se allontanerai l'iniquità che è nella tua mano e non farai abitare l'ingiustizia nelle tue tende
allora potrai alzare la faccia senza macchia e sarai saldo e non avrai timori
perché dimenticherai l'affanno e te ne ricorderai come di acqua passata
più del sole meridiano splenderà la tua vita, l'oscurità sarà per te come l'aurora
Ti terrai sicuro per ciò che ti attende e, guardandoti attorno, riposerai tranquillo
Ti coricherai e nessuno ti disturberà, molti anzi cercheranno i tuoi favori
Ma gli occhi dei malvagi languiranno, ogni scampo è per essi perduto, unica loro speranza è l'ultimo respiro
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Giobbe allora rispose
E' vero, sì, che voi siete la voce del popolo e la sapienza morirà con voi
Anch'io però ho senno come voi, e non sono da meno di voi; chi non sa cose simili
Ludibrio del suo amico è diventato chi grida a Dio perché gli risponda; ludibrio il giusto, l'integro
«Per la sventura, disprezzo», pensa la gente prosperosa, «spinte, a colui che ha il piede tremante»
Le tende dei ladri sono tranquille, c'è sicurezza per chi provoca Dio, per chi vuol ridurre Dio in suo potere
Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino, gli uccelli del cielo, perché ti informino
o i rettili della terra, perché ti istruiscano o i pesci del mare perché te lo faccian sapere
Chi non sa, fra tutti questi esseri, che la mano del Signore ha fatto questo
Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana
L'orecchio non distingue forse le parole e il palato non assapora i cibi
Nei canuti sta la saggezza e nella vita lunga la prudenza
In lui risiede la sapienza e la forza, a lui appartiene il consiglio e la prudenza
Ecco, se egli demolisce, non si può ricostruire, se imprigiona uno, non si può liberare
Se trattiene le acque, tutto si secca, se le lascia andare, devastano la terra
Da lui viene potenza e sagacia, a lui appartiene l'ingannato e l'ingannatore
Rende stolti i consiglieri della terra, priva i giudici di senno
scioglie la cintura dei re e cinge i loro fianchi d'una corda
Fa andare scalzi i sacerdoti e rovescia i potenti
Toglie la favella ai più veraci e priva del senno i vegliardi
Sui nobili spande il disprezzo e allenta la cintura ai forti
Strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce le cose oscure
Fa grandi i popoli e li lascia perire, estende le nazioni e le abbandona
Toglie il senno ai capi del paese e li fa vagare per solitudini senza strade
vanno a tastoni per le tenebre, senza luce, e barcollano come ubriachi
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Ecco, tutto questo ha visto il mio occhio, l'ha udito il mio orecchio e l'ha compreso
Quel che sapete voi, lo so anch'io; non sono da meno di voi
Ma io all'Onnipotente vorrei parlare, a Dio vorrei fare rimostranze
Voi siete raffazzonatori di menzogne, siete tutti medici da nulla
Magari taceste del tutto! sarebbe per voi un atto di sapienza
Ascoltate dunque la mia riprensione e alla difesa delle mie labbra fate attenzione
Volete forse in difesa di Dio dire il falso e in suo favore parlare con inganno
Vorreste trattarlo con parzialità e farvi difensori di Dio
Sarebbe bene per voi se egli vi scrutasse? Come s'inganna un uomo, credete di ingannarlo
Severamente vi redarguirà, se in segreto gli siete parziali
Forse la sua maestà non vi incute spavento e il terrore di lui non vi assale
Sentenze di cenere sono i vostri moniti, difese di argilla le vostre difese
Tacete, state lontani da me: parlerò io, mi capiti quel che capiti
Voglio afferrare la mia carne con i denti e mettere sulle mie mani la mia vita
Mi uccida pure, non me ne dolgo; voglio solo difendere davanti a lui la mia condotta
Questo mi sarà pegno di vittoria, perché un empio non si presenterebbe davanti a lui
Ascoltate bene le mie parole e il mio esposto sia nei vostri orecchi
Ecco, tutto ho preparato per il giudizio, son convinto che sarò dichiarato innocente
Chi vuol muover causa contro di me? Perché allora tacerò, pronto a morire
Solo, assicurami due cose e allora non mi sottrarrò alla tua presenza
allontana da me la tua mano e il tuo terrore più non mi spaventi
poi interrogami pure e io risponderò oppure parlerò io e tu mi risponderai
Quante sono le mie colpe e i miei peccati? Fammi conoscere il mio misfatto e il mio peccato
Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico
Vuoi spaventare una foglia dispersa dal vento e dar la caccia a una paglia secca
Poiché scrivi contro di me sentenze amare e mi rinfacci i miei errori giovanili
tu metti i miei piedi in ceppi, spii tutti i miei passi e ti segni le orme dei miei piedi
Intanto io mi disfò come legno tarlato o come un vestito corroso da tignola
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L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine
come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma
Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te
Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno
Se i suoi giorni sono contati, se il numero dei suoi mesi dipende da te, se hai fissato un termine che non può oltrepassare
distogli lo sguardo da lui e lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata
Poiché anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere
se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco
al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta
L'uomo invece, se muore, giace inerte, quando il mortale spira, dov'è
Potranno sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi
ma l'uomo che giace più non s'alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal suo sonno
Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba, occultarmi, finché sarà passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me
Se l'uomo che muore potesse rivivere, aspetterei tutti i giorni della mia milizia finché arrivi per me l'ora del cambio
Mi chiameresti e io risponderei, l'opera delle tue mani tu brameresti
Mentre ora tu conti i miei passi non spieresti più il mio peccato
in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio misfatto e tu cancelleresti la mia colpa
Ohimè! come un monte finisce in una frana e come una rupe si stacca dal suo posto
e le acque consumano le pietre, le alluvioni portano via il terreno: così tu annienti la speranza dell'uomo
Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va, tu sfiguri il suo volto e lo scacci
Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa; siano disprezzati, lo ignora
Soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé
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Elifaz il Temanita prese a dire
Potrebbe il saggio rispondere con ragioni campate in aria e riempirsi il ventre di vento d'oriente
Si difende egli con parole senza costrutto e con discorsi inutili
Tu anzi distruggi la religione e abolisci la preghiera innanzi a Dio
Sì, la tua malizia suggerisce alla tua bocca e scegli il linguaggio degli astuti
Non io, ma la tua bocca ti condanna e le tue labbra attestano contro di te
Sei forse tu il primo uomo che è nato, o, prima dei monti, sei venuto al mondo
Hai avuto accesso ai segreti consigli di Dio e ti sei appropriata tu solo la sapienza
Che cosa sai tu che noi non sappiamo? Che cosa capisci che da noi non si comprenda
Anche fra di noi c'è il vecchio e c'è il canuto più di tuo padre, carico d'anni
Poca cosa sono per te le consolazioni di Dio e una parola moderata a te rivolta
Perché il tuo cuore ti trasporta e perché fanno cenni i tuoi occhi
quando volgi contro Dio il tuo animo e fai uscire tali parole dalla tua bocca
Che cos'è l'uomo perché si ritenga puro, perché si dica giusto un nato di donna
Ecco, neppure dei suoi santi egli ha fiducia e i cieli non sono puri ai suoi occhi
quanto meno un essere abominevole e corrotto, l'uomo, che beve l'iniquità come acqua
Voglio spiegartelo, ascoltami, ti racconterò quel che ho visto
quello che i saggi riferiscono, non celato ad essi dai loro padri
a essi soli fu concessa questa terra, né straniero alcuno era passato in mezzo a loro
Per tutti i giorni della vita il malvagio si tormenta; sono contati gli anni riservati al violento
Voci di spavento gli risuonano agli orecchi e in piena pace si vede assalito dal predone
Non crede di potersi sottrarre alle tenebre, egli si sente destinato alla spada
Destinato in pasto agli avvoltoi, sa che gli è preparata la rovina
Un giorno tenebroso lo spaventa, la miseria e l'angoscia l'assalgono come un re pronto all'attacco
perché ha steso contro Dio la sua mano, ha osato farsi forte contro l'Onnipotente
correva contro di lui a testa alta, al riparo del curvo spessore del suo scudo
poiché aveva la faccia coperta di grasso e pinguedine intorno ai suoi fianchi
Avrà dimora in città diroccate, in case dove non si abita più, destinate a diventare macerie
Non arricchirà, non durerà la sua fortuna, non metterà radici sulla terra
Alle tenebre non sfuggirà, la vampa seccherà i suoi germogli e dal vento sarà involato il suo frutto
Non confidi in una vanità fallace, perché sarà una rovina
La sua fronda sarà tagliata prima del tempo e i suoi rami non rinverdiranno più
Sarà spogliato come vigna della sua uva ancor acerba e getterà via come ulivo i suoi fiori
poiché la stirpe dell'empio è sterile e il fuoco divora le tende dell'uomo venale
Concepisce malizia e genera sventura e nel suo seno alleva delusione
16
Allora rispose
Ne ho udite gia molte di simili cose! Siete tutti consolatori molesti
Non avran termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere così
Anch'io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole e scuoterei il mio capo su di voi
Vi conforterei con la bocca e il tremito delle mie labbra cesserebbe
Ma se parlo, non viene impedito il mio dolore; se taccio, che cosa lo allontana da me
Ora però egli m'ha spossato, fiaccato, tutto il mio vicinato mi è addosso
si è costituito testimone ed è insorto contro di me: il mio calunniatore mi accusa in faccia
La sua collera mi dilania e mi perseguita; digrigna i denti contro di me, il mio nemico su di me aguzza gli occhi
Spalancano la bocca contro di me, mi schiaffeggiano con insulti, insieme si alleano contro di me
Dio mi consegna come preda all'empio, e mi getta nelle mani dei malvagi
Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio
I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele
mi apre ferita su ferita, mi si avventa contro come un guerriero
Ho cucito un sacco sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere
La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre v'è una fitta oscurità
Non c'è violenza nelle mie mani e pura è stata la mia preghiera
O terra, non coprire il mio sangue e non abbia sosta il mio grido
Ma ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù
miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio
perché difenda l'uomo davanti a Dio, come un mortale fa con un suo amico
poiché passano i miei anni contati e io me ne vado per una via senza ritorno
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Il mio spirito vien meno, i miei giorni si spengono; non c'è per me che la tomba
Non sono io in balìa di beffardi? Fra i loro insulti veglia il mio occhio
Sii tu la mia garanzia presso di te! Qual altro vorrebbe stringermi la destra
Poiché hai privato di senno la loro mente, per questo non li lascerai trionfare
Come chi invita gli amici a parte del suo pranzo, mentre gli occhi dei suoi figli languiscono
così son diventato ludibrio dei popoli sono oggetto di scherno davanti a loro
Si offusca per il dolore il mio occhio e le mie membra non sono che ombra
Gli onesti ne rimangono stupiti e l'innocente s'indigna contro l'empio
Ma il giusto si conferma nella sua condotta e chi ha le mani pure raddoppia il coraggio
Su, venite di nuovo tutti: io non troverò un saggio fra di voi
I miei giorni sono passati, svaniti i miei progetti, i voti del mio cuore
Cambiano la notte in giorno, la luce - dicono - è più vicina delle tenebre
Se posso sperare qualche cosa, la tomba è la mia casa, nelle tenebre distendo il mio giaciglio
Al sepolcro io grido: «Padre mio sei tu!» e ai vermi: «Madre mia, sorelle mie voi siete!»
E la mia speranza dov'è? Il mio benessere chi lo vedrà
Scenderanno forse con me nella tomba o caleremo insieme nella polvere
18
Bildad il Suchita prese a dire
Quando porrai fine alle tue chiacchiere? Rifletti bene e poi parleremo
Perché considerarci come bestie, ci fai passare per bruti ai tuoi occhi
Tu che ti rodi l'anima nel tuo furore, forse per causa tua sarà abbandonata la terra e le rupi si staccheranno dal loro posto
Certamente la luce del malvagio si spegnerà e più non brillerà la fiamma del suo focolare
La luce si offuscherà nella sua tenda e la lucerna si estinguerà sopra di lui
Il suo energico passo s'accorcerà e i suoi progetti lo faran precipitare
poiché incapperà in una rete con i suoi piedi e sopra un tranello camminerà
Un laccio l'afferrerà per il calcagno, un nodo scorsoio lo stringerà
Gli è nascosta per terra una fune e gli è tesa una trappola sul sentiero
Lo spaventano da tutte le parti terrori e lo inseguono alle calcagna
Diventerà carestia la sua opulenza e la rovina è lì in piedi al suo fianco
Un malanno divorerà la sua pelle, roderà le sue membra il primogenito della morte
Sarà tolto dalla tenda in cui fidava, per essere trascinato al re dei terrori
Potresti abitare nella tenda che non è più sua; sulla sua dimora si spargerà zolfo
Al di sotto, le sue radici si seccheranno, sopra, saranno tagliati i suoi rami
Il suo ricordo sparirà dalla terra e il suo nome più non si udrà per la contrada
Lo getteranno dalla luce nel buio e dal mondo lo stermineranno
Non famiglia, non discendenza avrà nel suo popolo, non superstiti nei luoghi della sua dimora
Della sua fine stupirà l'occidente e l'oriente ne prenderà orrore
Ecco qual è la sorte dell'iniquo: questa è la dimora di chi misconosce Dio
19
Giobbe allora rispose
Fino a quando mi tormenterete e mi opprimerete con le vostre parole
Son dieci volte che mi insultate e mi maltrattate senza pudore
E' poi vero che io abbia mancato e che persista nel mio errore
Non è forse vero che credete di vincere contro di me, rinfacciandomi la mia abiezione
Sappiate dunque che Dio mi ha piegato e mi ha avviluppato nella sua rete
Ecco, grido contro la violenza, ma non ho risposta, chiedo aiuto, ma non c'è giustizia
Mi ha sbarrato la strada perché non passi e sul mio sentiero ha disteso le tenebre
Mi ha spogliato della mia gloria e mi ha tolto dal capo la corona
Mi ha disfatto da ogni parte e io sparisco, mi ha strappato, come un albero, la speranza
Ha acceso contro di me la sua ira e mi considera come suo nemico
Insieme sono accorse le sue schiere e si sono spianata la strada contro di me; hanno posto l'assedio intorno alla mia tenda
I miei fratelli si sono allontanati da me, persino gli amici mi si sono fatti stranieri
Scomparsi sono vicini e conoscenti, mi hanno dimenticato gli ospiti di casa
da estraneo mi trattano le mie ancelle, un forestiero sono ai loro occhi
Chiamo il mio servo ed egli non risponde, devo supplicarlo con la mia bocca
Il mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio schifo ai figli di mia madre
Anche i monelli hanno ribrezzo di me: se tento d'alzarmi, mi danno la baia
Mi hanno in orrore tutti i miei confidenti: quelli che amavo si rivoltano contro di me
Alla pelle si attaccano le mie ossa e non è salva che la pelle dei miei denti
Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha percosso
Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne
Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro
fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia
Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere
Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio
Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero. Le mie viscere si consumano dentro di me
Poiché dite: «Come lo perseguitiamo noi, se la radice del suo danno è in lui?»
temete per voi la spada, poiché punitrice d'iniquità è la spada, affinché sappiate che c'è un giudice
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Zofar il Naamatita prese a dire
Per questo i miei pensieri mi spingono a rispondere e perciò v'è questa fretta dentro di me
Ho ascoltato un rimprovero per me offensivo, ma uno spirito, dal mio interno, mi spinge a replicare
Non sai tu che da sempre, da quando l'uomo fu posto sulla terra
il trionfo degli empi è breve e la gioia del perverso è d'un istante
Anche se innalzasse fino al cielo la sua statura e il suo capo toccasse le nubi
come lo sterco sarebbe spazzato per sempre e chi lo aveva visto direbbe: «Dov'è?»
Svanirà come un sogno, e non si troverà più, si dileguerà come visione notturna
L'occhio avvezzo a vederlo più non lo vedrà, né più lo scorgerà la sua dimora
I suoi figli dovranno risarcire i poveri, le loro mani restituiranno le sue ricchezze
Le sue ossa erano ancora piene di giovinezza, ma con lui giacciono nella polvere
Se alla sua bocca fu dolce il male, se lo teneva nascosto sotto la sua lingua
assaporandolo senza inghiottirlo, se lo tratteneva in mezzo al suo palato
il suo cibo gli si guasterà nelle viscere, veleno d'aspidi gli sarà nell'intestino
I beni divorati ora rivomita, Dio glieli caccia fuori dal ventre
Veleno d'aspide ha succhiato, una lingua di vipera lo uccide
Non vedrà più ruscelli d'olio, fiumi di miele e fior di latte
renderà i sudati acquisti senza assaggiarli, come non godrà del frutto del suo commercio
perché ha oppresso e abbandonato i miseri, ha rubato case invece di costruirle
perché non ha saputo essere pago dei suoi beni, con i suoi tesori non si salverà
Nulla è sfuggito alla sua voracità, per questo non durerà il suo benessere
Nel colmo della sua abbondanza si troverà in miseria; ogni sorta di sciagura piomberà su di lui
Quando starà per riempire il suo ventre, Dio scaglierà su di lui la fiamma del suo sdegno, e gli farà piovere addosso brace
Se sfuggirà l'arma di ferro, lo trafiggerà l'arco di bronzo
gli uscirà il dardo dalla schiena, una spada lucente dal fegato. Lo assaliranno i terrori
tutte le tenebre gli sono riservate. Lo divorerà un fuoco non acceso da un uomo, esso consumerà quanto è rimasto nella sua tenda
Riveleranno i cieli la sua iniquità e la terra si alzerà contro di lui
Un'alluvione travolgerà la sua casa, scorrerà nel giorno dell'ira
Questa è la sorte che Dio riserva all'uomo perverso, la parte a lui decretata da Dio
21
Giobbe rispose
Ascoltate bene la mia parola e sia questo almeno il conforto che mi date
Tollerate che io parli e, dopo il mio parlare, deridetemi pure
Forse io mi lamento di un uomo? E perché non dovrei perder la pazienza
Statemi attenti e resterete stupiti, mettetevi la mano sulla bocca
Se io ci penso, ne sono turbato e la mia carne è presa da un brivido
Perché vivono i malvagi, invecchiano, anzi sono potenti e gagliardi
La loro prole prospera insieme con essi, i loro rampolli crescono sotto i loro occhi
Le loro case sono tranquille e senza timori; il bastone di Dio non pesa su di loro
Il loro toro feconda e non falla, la vacca partorisce e non abortisce
Mandano fuori, come un gregge, i loro ragazzi e i loro figli saltano in festa
Cantano al suono di timpani e di cetre, si divertono al suono delle zampogne
Finiscono nel benessere i loro giorni e scendono tranquilli negli inferi
Eppure dicevano a Dio: «Allontanati da noi, non vogliamo conoscer le tue vie
Chi è l'Onnipotente, perché dobbiamo servirlo? E che ci giova pregarlo?»
Non hanno forse in mano il loro benessere? Il consiglio degli empi non è lungi da lui
Quante volte si spegne la lucerna degli empi, o la sventura piomba su di loro, e infliggerà loro castighi con ira
Diventano essi come paglia di fronte al vento o come pula in preda all'uragano
«Dio serba per i loro figli il suo castigo...». Ma lo faccia pagare piuttosto a lui stesso e lo senta
Veda con i suoi occhi la sua rovina e beva dell'ira dell'Onnipotente
Che cosa gli importa infatti della sua casa dopo di sé, quando il numero dei suoi mesi è finito
S'insegna forse la scienza a Dio, a lui che giudica gli esseri di lassù
Uno muore in piena salute, tutto tranquillo e prospero
i suoi fianchi sono coperti di grasso e il midollo delle sue ossa è ben nutrito
Un altro muore con l'amarezza in cuore senza aver mai gustato il bene
Nella polvere giacciono insieme e i vermi li ricoprono
Ecco, io conosco i vostri pensieri e gli iniqui giudizi che fate contro di me
Infatti, voi dite: «Dov'è la casa del prepotente, dove sono le tende degli empi?»
Non avete interrogato quelli che viaggiano? Non potete negare le loro prove
che nel giorno della sciagura è risparmiato il malvagio e nel giorno dell'ira egli la scampa
Chi gli rimprovera in faccia la sua condotta e di quel che ha fatto chi lo ripaga
Egli sarà portato al sepolcro, sul suo tumulo si vegli
e gli sono lievi le zolle della tomba. Trae dietro di sé tutti gli uomini e innanzi a sé una folla senza numero
Perché dunque mi consolate invano, mentre delle vostre risposte non resta che inganno
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Elifaz il Temanita prese a dire
Può forse l'uomo giovare a Dio, se il saggio giova solo a se stesso
Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia giusto o che vantaggio ha, se tieni una condotta integra
Forse per la tua pietà ti punisce e ti convoca in giudizio
O non piuttosto per la tua grande malvagità e per le tue iniquità senza limite
Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli e delle vesti hai spogliato gli ignudi
Non hai dato da bere all'assetato e all'affamato hai rifiutato il pane
la terra l'ha il prepotente e vi abita il tuo favorito
Le vedove hai rimandato a mani vuote e le braccia degli orfani hai rotto
Ecco perché d'intorno a te ci sono lacci e un improvviso spavento ti sorprende
Tenebra è la tua luce e più non vedi e la piena delle acque ti sommerge
Ma Dio non è nell'alto dei cieli? Guarda il vertice delle stelle: quanto sono alte
E tu dici: «Che cosa sa Dio? Può giudicare attraverso la caligine
Le nubi gli fanno velo e non vede e sulla volta dei cieli passeggia»
Vuoi tu seguire il sentiero d'un tempo, gia battuto da uomini empi
che prima del tempo furono portati via, quando un fiume si era riversato sulle loro fondamenta
Dicevano a Dio: «Allontànati da noi! Che cosa ci può fare l'Onnipotente?»
Eppure egli aveva riempito le loro case di beni, anche se i propositi degli empi erano lontani da lui
I giusti ora vedono e ne godono e l'innocente si beffa di loro
«Sì, certo è stata annientata la loro fortuna e il fuoco ne ha divorati gli avanzi!»
Su, riconcìliati con lui e tornerai felice, ne riceverai un gran vantaggio
Accogli la legge dalla sua bocca e poni le sue parole nel tuo cuore
Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà, se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda
se stimerai come polvere l'oro e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir
allora sarà l'Onnipotente il tuo oro e sarà per te argento a mucchi
Allora sì, nell'Onnipotente ti delizierai e alzerai a Dio la tua faccia
Lo supplicherai ed egli t'esaudirà e tu scioglierai i tuoi voti
Deciderai una cosa e ti riuscirà e sul tuo cammino splenderà la luce
Egli umilia l'alterigia del superbo, ma soccorre chi ha gli occhi bassi
Egli libera l'innocente; tu sarai liberato per la purezza delle tue mani
23
Giobbe allora rispose
Ancor oggi il mio lamento è amaro e la sua mano grava sopra i miei gemiti
Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi arrivare fino al suo trono
Esporrei davanti a lui la mia causa e avrei piene le labbra di ragioni
Verrei a sapere le parole che mi risponde e capirei che cosa mi deve dire
Con sfoggio di potenza discuterebbe con me? Se almeno mi ascoltasse
Allora un giusto discuterebbe con lui e io per sempre sarei assolto dal mio giudice
Ma se vado in avanti, egli non c'è, se vado indietro, non lo sento
A sinistra lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a destra e non lo vedo
Poiché egli conosce la mia condotta, se mi prova al crogiuolo, come oro puro io ne esco
Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono attenuto e non ho deviato
dai comandi delle sue labbra non mi sono allontanato, nel cuore ho riposto i detti della sua bocca
Se egli sceglie, chi lo farà cambiare? Ciò che egli vuole, lo fa
Compie, certo, il mio destino e di simili piani ne ha molti
Per questo davanti a lui sono atterrito, ci penso e ho paura di lui
Dio ha fiaccato il mio cuore, l'Onnipotente mi ha atterrito
non sono infatti perduto a causa della tenebra, né a causa dell'oscurità che ricopre il mio volto
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Perché l'Onnipotente non si riserva i suoi tempi e i suoi fedeli non vedono i suoi giorni
I malvagi spostano i confini, rubano le greggi e le menano al pascolo
portano via l'asino degli orfani, prendono in pegno il bue della vedova
Spingono i poveri fuori strada, tutti i miseri del paese vanno a nascondersi
Eccoli, come ònagri nel deserto escono per il lavoro; di buon mattino vanno in cerca di vitto; la steppa offre loro cibo per i figli
Mietono nel campo non loro; racimolano la vigna del malvagio
Nudi passan la notte, senza panni, non hanno da coprirsi contro il freddo
Dagli scrosci dei monti sono bagnati, per mancanza di rifugi si aggrappano alle rocce
Rapiscono con violenza l'orfano e prendono in pegno ciò che copre il povero
Ignudi se ne vanno, senza vesti e affamati portano i covoni
Tra i filari frangono le olive, pigiano l'uva e soffrono la sete
Dalla città si alza il gemito dei moribondi e l'anima dei feriti grida aiuto: Dio non presta attenzione alle loro preghiere
Altri odiano la luce, non ne vogliono riconoscere le vie né vogliono batterne i sentieri
Quando non c'è luce, si alza l'omicida per uccidere il misero e il povero; nella notte si aggira il ladro e si mette un velo sul volto
L'occhio dell'adultero spia il buio e pensa: «Nessun occhio mi osserva!»
Nelle tenebre forzano le case, di giorno se ne stanno nascosti: non vogliono saperne della luce
l'alba è per tutti loro come spettro di morte; quando schiarisce, provano i terrori del buio fondo
Fuggono veloci di fronte al giorno; maledetta è la loro porzione di campo sulla terra, non si volgono più per la strada delle vigne
Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così la morte rapisce il peccatore
Il seno che l'ha portato lo dimentica, i vermi ne fanno la loro delizia, non se ne conserva la memoria ed è troncata come un albero l'iniquità
Egli maltratta la sterile che non genera e non fa del bene alla vedova
Ma egli con la sua forza trascina i potenti, sorge quando più non può contare sulla vita
Anche Dio gli concede sicurezza ed egli sta saldo, ma i suoi occhi sono sopra la sua condotta
Salgono in alto per un poco, poi non sono più, sono buttati giù come tutti i mortali, falciati come la testa di una spiga
Non è forse così? Chi può smentirmi e ridurre a nulla le mie parole
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Bildad il Suchita prese a dire
V'è forse dominio e paura presso Colui Che mantiene la pace nell'alto dei cieli
Si possono forse contare le sue schiere? E sopra chi non sorge la sua luce
Come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato di donna
Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi
quanto meno l'uomo, questo verme, l'essere umano, questo bruco
26
Giobbe rispose
Quanto aiuto hai dato al debole e come hai soccorso il braccio senza forza
Quanti buoni consigli hai dato all'ignorante e con quanta abbondanza hai manifestato la saggezza
A chi hai tu rivolto la parola e qual è lo spirito che da te è uscito
I morti tremano sotto terra, come pure le acque e i loro abitanti
Nuda è la tomba davanti a lui e senza velo è l'abisso
Egli stende il settentrione sopra il vuoto, tiene sospesa la terra sopra il nulla
Rinchiude le acque dentro le nubi, e le nubi non si squarciano sotto il loro peso
Copre la vista del suo trono stendendovi sopra la sua nube
Ha tracciato un cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre
Le colonne del cielo si scuotono, sono prese da stupore alla sua minaccia
Con forza agita il mare e con intelligenza doma Raab
Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano trafigge il serpente tortuoso
Ecco, questi non sono che i margini delle sue opere; quanto lieve è il sussurro che noi ne percepiamo! Ma il tuono della sua potenza chi può comprenderlo
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Giobbe continuò a dire
Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo
finché ci sarà in me un soffio di vita, e l'alito di Dio nelle mie narici
mai le mie labbra diranno falsità e la mia lingua mai pronunzierà menzogna
Lungi da me che io mai vi dia ragione; fino alla morte non rinunzierò alla mia integrità
Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni
Sia trattato come reo il mio nemico e il mio avversario come un ingiusto
Che cosa infatti può sperare l'empio, quando finirà, quando Dio gli toglierà la vita
Ascolterà forse Dio il suo grido, quando la sventura piomberà su di lui
Porrà forse la sua compiacenza nell'Onnipotente? Potrà forse invocare Dio in ogni momento
Io vi mostrerò la mano di Dio, non vi celerò i pensieri dell'Onnipotente
Ecco, voi tutti lo vedete; perché dunque vi perdete in cose vane
Questa è la sorte che Dio riserva al malvagio e la porzione che i violenti ricevono dall'Onnipotente
Se ha molti figli, saranno per la spada e i suoi discendenti non avranno pane da sfamarsi
i superstiti li seppellirà la peste e le loro vedove non faranno lamento
Se ammassa argento come la polvere e come fango si prepara vesti
egli le prepara, ma il giusto le indosserà e l'argento lo spartirà l'innocente
Ha costruito la casa come fragile nido e come una capanna fatta da un guardiano
Si corica ricco, ma per l'ultima volta, quando apre gli occhi, non avrà più nulla
Di giorno il terrore lo assale, di notte se lo rapisce il turbine
il vento d'oriente lo solleva e se ne va, lo strappa lontano dal suo posto
Dio lo bersaglia senza pietà; tenta di sfuggire alla sua mano
Si battono le mani contro di lui e si fischia su di lui dal luogo dove abita
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Certo, per l'argento vi sono miniere e per l'oro luoghi dove esso si raffina
Il ferro si cava dal suolo e la pietra fusa libera il rame
L'uomo pone un termine alle tenebre e fruga fino all'estremo limite le rocce nel buio più fondo
Forano pozzi lungi dall'abitato coloro che perdono l'uso dei piedi: pendono sospesi lontano dalla gente e vacillano
Una terra, da cui si trae pane, di sotto è sconvolta come dal fuoco
Le sue pietre contengono zaffiri e oro la sua polvere
L'uccello rapace ne ignora il sentiero, non lo scorge neppure l'occhio dell'aquila
non battuto da bestie feroci, né mai attraversato dal leopardo
Contro la selce l'uomo porta la mano, sconvolge le montagne
nelle rocce scava gallerie e su quanto è prezioso posa l'occhio
scandaglia il fondo dei fiumi e quel che vi è nascosto porta alla luce
Ma la sapienza da dove si trae? E il luogo dell'intelligenza dov'è
L'uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi
L'abisso dice: «Non è in me!» e il mare dice: «Neppure presso di me!»
Non si scambia con l'oro più scelto, né per comprarla si pesa l'argento
Non si acquista con l'oro di Ofir, con il prezioso berillo o con lo zaffiro
Non la pareggia l'oro e il cristallo, né si permuta con vasi di oro puro
Coralli e perle non meritano menzione, vale più scoprire la sapienza che le gemme
Non la eguaglia il topazio d'Etiopia; con l'oro puro non si può scambiare a peso
Ma da dove viene la sapienza? E il luogo dell'intelligenza dov'è
E' nascosta agli occhi di ogni vivente ed è ignota agli uccelli del cielo
L'abisso e la morte dicono: «Con gli orecchi ne udimmo la fama»
Dio solo ne conosce la via, lui solo sa dove si trovi
perché volge lo sguardo fino alle estremità della terra, vede quanto è sotto la volta del cielo
Quando diede al vento un peso e ordinò alle acque entro una misura
quando impose una legge alla pioggia e una via al lampo dei tuoni
allora la vide e la misurò, la comprese e la scrutò appien
e disse all'uomo: «Ecco, temere Dio, questo è sapienza e schivare il male, questo è intelligenza»
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Giobbe continuò a pronunziare le sue sentenze e disse
Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo, ai giorni in cui Dio mi proteggeva
quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre
com'ero ai giorni del mio autunno, quando Dio proteggeva la mia tenda
quando l'Onnipotente era ancora con me e i giovani mi stavano attorno
quando mi lavavo in piedi nel latte e la roccia mi versava ruscelli d'olio
Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio
vedendomi, i giovani si ritiravano e i vecchi si alzavano in piedi
i notabili sospendevano i discorsi e si mettevan la mano sulla bocca
la voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato
con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza
perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto, l'orfano che ne era privo
La benedizione del morente scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia
Mi ero rivestito di giustizia come di un vestimento; come mantello e turbante era la mia equità
Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo
Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto
rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda
Pensavo: «Spirerò nel mio nido e moltiplicherò come sabbia i miei giorni»
La mia radice avrà adito alle acque e la rugiada cadrà di notte sul mio ramo
La mia gloria sarà sempre nuova e il mio arco si rinforzerà nella mia mano
Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio
Dopo le mie parole non replicavano e su di loro scendevano goccia a goccia i miei detti
Mi attendevano come si attende la pioggia e aprivano la bocca come ad acqua primaverile
Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, né turbavano la serenità del mio volto
Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra i soldati o come un consolatore d'afflitti
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Ora invece si ridono di me i più giovani di me in età, i cui padri non avrei degnato di mettere tra i cani del mio gregge
Anche la forza delle loro mani a che mi giova? Hanno perduto ogni vigore
disfatti dalla indigenza e dalla fame, brucano per l'arido deserto
da lungo tempo regione desolata, raccogliendo l'erba salsa accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo
Cacciati via dal consorzio umano, a loro si grida dietro come al ladro
sì che dimorano in valli orrende, nelle caverne della terra e nelle rupi
In mezzo alle macchie urlano e sotto i roveti si adunano
razza ignobile, anzi razza senza nome, sono calpestati più della terra
Ora io sono la loro canzone, sono diventato la loro favola
Hanno orrore di me e mi schivano e non si astengono dallo sputarmi in faccia
Poiché egli ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto, essi han rigettato davanti a me ogni freno
A destra insorge la ragazzaglia; smuovono i miei passi e appianano la strada contro di me per perdermi
Hanno demolito il mio sentiero, cospirando per la mia disfatta e nessuno si oppone a loro
Avanzano come attraverso una larga breccia, sbucano in mezzo alle macerie
I terrori si sono volti contro di me; si è dileguata, come vento, la mia grandezza e come nube è passata la mia felicità
Ora mi consumo e mi colgono giorni d'afflizione
Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo
A gran forza egli mi afferra per la veste, mi stringe per l'accollatura della mia tunica
Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere
Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta
Tu sei un duro avversario verso di me e con la forza delle tue mani mi perseguiti
mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera
So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove si riunisce ogni vivente
Ma qui nessuno tende la mano alla preghiera, né per la sua sventura invoca aiuto
Non ho pianto io forse con chi aveva i giorni duri e non mi sono afflitto per l'indigente
Eppure aspettavo il bene ed è venuto il male, aspettavo la luce ed è venuto il buio
Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d'affanno mi assalgono
Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell'assemblea mi alzo per invocare aiuto
Sono divenuto fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi
La mia pelle si è annerita, mi si stacca e le mie ossa bruciano dall'arsura
La mia cetra serve per lamenti e il mio flauto per la voce di chi piange
31
Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare neppure una vergine
Che parte mi assegna Dio di lassù e che porzione mi assegna l'Onnipotente dall'alto
Non è forse la rovina riservata all'iniquo e la sventura per chi compie il male
Non vede egli la mia condotta e non conta tutti i miei passi
Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode
mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconoscerà la mia integrità
Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguito i miei occhi, se alla mia mano si è attaccata sozzura
io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli
Se il mio cuore fu sedotto da una donna e ho spiato alla porta del mio prossimo
mia moglie macini per un altro e altri ne abusino
difatti quello è uno scandalo, un delitto da deferire ai giudici
quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto
Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me
che farei, quando Dio si alzerà, e, quando farà l'inchiesta, che risponderei
Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel seno
Mai ho rifiutato quanto brama il povero, né ho lasciato languire gli occhi della vedova
mai da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse l'orfano
poiché Dio, come un padre, mi ha allevato fin dall'infanzia e fin dal ventre di mia madre mi ha guidato
Se mai ho visto un misero privo di vesti o un povero che non aveva di che coprirsi
se non hanno dovuto benedirmi i suoi fianchi, o con la lana dei miei agnelli non si è riscaldato
se contro un innocente ho alzato la mano, perché vedevo alla porta chi mi spalleggiava
mi si stacchi la spalla dalla nuca e si rompa al gomito il mio braccio
perché mi incute timore la mano di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere
Se ho riposto la mia speranza nell'oro e all'oro fino ho detto: «Tu sei la mia fiducia
se godevo perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano
se vedendo il sole risplendere e la luna chiara avanzare
si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio
anche questo sarebbe stato un delitto da tribunale, perché avrei rinnegato Dio che sta in alto
Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico e ho esultato perché lo colpiva la sventura
io che non ho permesso alla mia lingua di peccare, augurando la sua morte con imprecazioni
Non diceva forse la gente della mia tenda: «A chi non ha dato delle sue carni per saziarsi?»
All'aperto non passava la notte lo straniero e al viandante aprivo le mie porte
Non ho nascosto, alla maniera degli uomini, la mia colpa, tenendo celato il mio delitto in petto
come se temessi molto la folla, e il disprezzo delle tribù mi spaventasse, sì da starmene zitto senza uscire di casa
Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversari
vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema
Il numero dei miei passi gli manifestere
Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono con essa
se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare dalla fame i suoi coltivatori
in luogo di frumento, getti spine, ed erbaccia al posto dell'orzo
32
quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe, perché egli si riteneva giusto
Allora si accese lo sdegno di Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram. Si accese di sdegno contro Giobbe, perché pretendeva d'aver ragione di fronte a Dio
si accese di sdegno anche contro i suoi tre amici, perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene avessero dichiarato Giobbe colpevole
Però Eliu aveva aspettato, mentre essi parlavano con Giobbe, perché erano più vecchi di lui in età
Quando dunque vide che sulla bocca di questi tre uomini non vi era più alcuna risposta, Eliu si accese di sdegno
Presa dunque la parola, Eliu, figlio di Barachele il Buzita, disse: e voi siete gia canuti; per questo ho esitato per rispetto a manifestare a voi il mio sapere
Pensavo: Parlerà l'età e i canuti insegneranno la sapienza
Ma certo essa è un soffio nell'uomo; l'ispirazione dell'Onnipotente lo fa intelligente
Non sono i molti anni a dar la sapienza, né sempre i vecchi distinguono ciò che è giusto
Per questo io oso dire: Ascoltatemi; anch'io esporrò il mio sapere
Ecco, ho atteso le vostre parole, ho teso l'orecchio ai vostri argomenti. Finché andavate in cerca di argoment
su di voi fissai l'attenzione. Ma ecco, nessuno ha potuto convincere Giobbe, nessuno tra di voi risponde ai suoi detti
Non dite: Noi abbiamo trovato la sapienza, ma lo confuti Dio, non l'uomo
Egli non mi ha rivolto parole, e io non gli risponderò con le vostre parole
Sono vinti, non rispondono più, mancano loro le parole
Ho atteso, ma poiché non parlano più, poiché stanno lì senza risposta
voglio anch'io dire la mia parte, anch'io esporrò il mio parere
mi sento infatti pieno di parole, mi preme lo spirito che è dentro di me
Ecco, dentro di me c'è come vino senza sfogo, come vino che squarcia gli otri nuovi
Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò
Non guarderò in faccia ad alcuno, non adulerò nessuno
perché io non so adulare: altrimenti il mio creatore in breve mi eliminerebbe
33
Ascolta dunque, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l'orecchio
Ecco, io apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato
Il mio cuore dirà sagge parole e le mie labbra parleranno chiaramente
Lo spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell'Onnipotente mi dà vita
Se puoi, rispondimi, prepàrati davanti a me, stà pronto
Ecco, io sono come te di fronte a Dio e anch'io sono stato tratto dal fango
ecco, nulla hai da temere da me, né graverò su di te la mano
Non hai fatto che dire ai miei orecchi e ho ben udito il suono dei tuoi detti
«Puro son io, senza peccato, io sono mondo, non ho colpa
ma egli contro di me trova pretesti e mi stima suo nemico
pone in ceppi i miei piedi e spia tutti i miei passi!»
Ecco, in questo ti rispondo: non hai ragione. Dio è infatti più grande dell'uomo
Perché ti lamenti di lui, se non risponde ad ogni tua parola
Dio parla in un modo o in un altro, ma non si fa attenzione
Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio
apre allora l'orecchio degli uomini e con apparizioni li spaventa
per distogliere l'uomo dal male e tenerlo lontano dall'orgoglio
per preservarne l'anima dalla fossa e la sua vita dalla morte violenta
Lo corregge con il dolore nel suo letto e con la tortura continua delle ossa
quando il suo senso ha nausea del pane, il suo appetito del cibo squisito
quando la sua carne si consuma a vista d'occhio e le ossa, che non si vedevano prima, spuntano fuori
quando egli si avvicina alla fossa e la sua vita alla dimora dei morti
Ma se vi è un angelo presso di lui, un protettore solo fra mille, per mostrare all'uomo il suo dovere
abbia pietà di lui e dica: «Scampalo dallo scender nella fossa, ho trovato il riscatto»
allora la sua carne sarà più fresca che in gioventù, tornerà ai giorni della sua adolescenza
supplicherà Dio e questi gli userà benevolenza, gli mostrerà il suo volto in giubilo, e renderà all'uomo la sua giustizia
Egli si rivolgerà agli uomini e dirà: «Avevo peccato e violato la giustizia, ma egli non mi ha punito per quel che meritavo
mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce»
Ecco, tutto questo fa Dio, due volte, tre volte con l'uomo
per sottrarre l'anima sua dalla fossa e illuminarla con la luce dei viventi
Attendi, Giobbe, ascoltami, taci e io parlerò
ma se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché vorrei darti ragione
se no, tu ascoltami e io ti insegnerò la sapienza
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Eliu continuò a dire
Ascoltate, saggi, le mie parole e voi, sapienti, porgetemi l'orecchio
Perché l'orecchio distingue le parole, come il palato assapora i cibi
Esploriamo noi ciò che è giusto, indaghiamo fra di noi quale sia il bene
poiché Giobbe ha detto: «Io son giusto, ma Dio mi ha tolto il mio diritto
contro il mio diritto passo per menzognero, inguaribile è la mia piaga benché senza colpa»
Chi è come Giobbe che beve, come l'acqua, l'insulto
che fa la strada in compagnia dei malfattori, andando con uomini iniqui
Poiché egli ha detto: «Non giova all'uomo essere in buona grazia con Dio»
Perciò ascoltatemi, uomini di senno: lungi da Dio l'iniquità e dall'Onnipotente l'ingiustizia
Poiché egli ripaga l'uomo secondo il suo operato e fa trovare ad ognuno secondo la sua condotta
In verità, Dio non agisce da ingiusto e l'Onnipotente non sovverte il diritto
Chi mai gli ha affidato la terra e chi ha disposto il mondo intero
Se egli richiamasse il suo spirito a sé e a sé ritraesse il suo soffio
ogni carne morirebbe all'istante e l'uomo ritornerebbe in polvere
Se hai intelletto, ascolta bene questo, porgi l'orecchio al suono delle mie parole
Può mai governare chi odia il diritto? E tu osi condannare il Gran Giusto
lui che dice ad un re: «Iniquo!» e ai principi: «Malvagi!»
lui che non usa parzialità con i potenti e non preferisce al povero il ricco, perché tutti costoro sono opera delle sue mani
In un istante muoiono e nel cuore della notte sono colpiti i potenti e periscono; e senza sforzo rimuove i tiranni
poiché egli tiene gli occhi sulla condotta dell'uomo e vede tutti i suoi passi
Non vi è tenebra, non densa oscurità, dove possano nascondersi i malfattori
Poiché non si pone all'uomo un termine per comparire davanti a Dio in giudizio
egli fiacca i potenti, senza fare inchieste, e colloca altri al loro posto
Poiché conosce le loro opere, li travolge nella notte e sono schiacciati
come malvagi li percuote, li colpisce alla vista di tutti
perché si sono allontanati da lui e di tutte le sue vie non si sono curati
sì da far giungere fino a lui il grido dell'oppresso e fargli udire il lamento dei poveri
Se egli tace, chi lo può condannare? Se vela la faccia, chi lo può vedere? Ma sulle nazioni e sugli individui egli veglia
perché non regni un uomo perverso, perché il popolo non abbia inciampi
Si può dunque dire a Dio: «Porto la pena, senza aver fatto il male
se ho peccato, mostramelo; se ho commesso l'iniquità, non lo farò più»
Forse, secondo le tue idee dovrebbe ricompensare, perché tu rifiuti il suo giudizio? Poiché tu devi scegliere, non io, dì, dunque, quello che sai
Gli uomini di senno mi diranno con l'uomo saggio che mi ascolta
«Giobbe non parla con sapienza e le sue parole sono prive di senno»
Bene, Giobbe sia esaminato fino in fondo, per le sue risposte da uomo empio
perché aggiunge al suo peccato la rivolta, in mezzo a noi batte le mani e moltiplica le parole contro Dio
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Eliu riprese a dire
Ti pare di aver pensato cosa giusta, quando dicesti: «Ho ragione davanti a Dio»
O quando hai detto: «Che te ne importa? Che utilità ne ho dal mio peccato»
Risponderò a te con discorsi e ai tuoi amici insieme con te
Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te
Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi
Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano
Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia
Si grida per la gravità dell'oppressione, si invoca aiuto sotto il braccio dei potenti
ma non si dice: «Dov'è quel Dio che mi ha creato, che concede nella notte canti di gioia
che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo?»
Si grida, allora, ma egli non risponde di fronte alla superbia dei malvagi
Certo è falso dire: «Dio non ascolta e l'Onnipotente non presta attenzione
più ancora quando tu dici che non lo vedi, che la tua causa sta innanzi a lui e tu in lui speri
così pure quando dici che la sua ira non punisce né si cura molto dell'iniquità
Giobbe dunque apre invano la sua bocca e senza cognizione moltiplica le chiacchiere
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Eliu continuò a dire
Abbi un po' di pazienza e io te lo dimostrerò, perché in difesa di Dio c'è altro da dire
Prenderò da lontano il mio sapere e renderò giustizia al mio creatore
poiché non è certo menzogna il mio parlare: un uomo di perfetta scienza è qui con te
Ecco, Dio è grande e non si ritratta, egli è grande per fermezza di cuore
Non lascia vivere l'iniquo e rende giustizia ai miseri
Non toglie gli occhi dai giusti, li fa sedere sul trono con i re e li esalta per sempre
Se talvolta essi sono avvinti in catene, se sono stretti dai lacci dell'afflizione
fa loro conoscere le opere loro e i loro falli, perché superbi
apre loro gli orecchi per la correzione e ordina che si allontanino dalla iniquità
Se ascoltano e si sottomettono, chiuderanno i loro giorni nel benessere e i loro anni nelle delizie
Ma se non vorranno ascoltare, di morte violenta periranno, spireranno senza neppure saperlo
I perversi di cuore accumulano l'ira; non invocano aiuto, quando Dio li avvince in catene
si spegne in gioventù la loro anima, e la loro vita all'età dei dissoluti
Ma egli libera il povero con l'afflizione, gli apre l'udito con la sventura
Anche te intende sottrarre dal morso dell'angustia: avrai in cambio un luogo ampio, non ristretto e la tua tavola sarà colma di vivande grasse
Ma se colmi la misura con giudizi da empio, giudizio e condanna ti seguiranno
La collera non ti trasporti alla bestemmia, l'abbondanza dell'espiazione non ti faccia fuorviare
Può forse farti uscire dall'angustia il tuo grido, con tutti i tentativi di forza
Non sospirare quella notte, in cui i popoli vanno al loro luogo
Bada di non volgerti all'iniquità, poiché per questo sei stato provato dalla miseria
Ecco, Dio è sublime nella sua potenza; chi come lui è temibile
Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire o chi mai ha potuto dirgli: «Hai agito male?»
Ricordati che devi esaltare la sua opera, che altri uomini hanno cantato
Ogni uomo la contempla, il mortale la mira da lontano
Ecco, Dio è così grande, che non lo comprendiamo: il numero dei suoi anni è incalcolabile
Egli attrae in alto le gocce dell'acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori
che le nubi riversano e grondano sull'uomo in grande quantità
Chi inoltre può comprendere la distesa delle nubi, i fragori della sua dimora
Ecco, espande sopra di esso il suo vapore e copre le profondità del mare
In tal modo sostenta i popoli e offre alimento in abbondanza
Arma le mani di folgori e le scaglia contro il bersaglio
Lo annunzia il suo fragore, riserva d'ira contro l'iniquità
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Per questo mi batte forte il cuore e mi balza fuori dal petto
Udite, udite, il rumore della sua voce, il fragore che esce dalla sua bocca
Il lampo si diffonde sotto tutto il cielo e il suo bagliore giunge ai lembi della terra
dietro di esso brontola il tuono, mugghia con il suo fragore maestoso e nulla arresta i fulmini, da quando si è udita la sua voce
mirabilmente tuona Dio con la sua voce opera meraviglie che non comprendiamo
Egli infatti dice alla neve: «Cadi sulla terra» e alle piogge dirotte: «Siate violente»
Rinchiude ogni uomo in casa sotto sigillo, perché tutti riconoscano la sua opera
Le fiere si ritirano nei loro ripari e nelle loro tane si accovacciano
Dal mezzogiorno avanza l'uragano e il freddo dal settentrione
Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e la distesa dell'acqua si congela
Carica di umidità le nuvole e le nubi ne diffondono le folgori
Egli le fa vagare dappertutto secondo i suoi ordini, perché eseguiscano quanto comanda loro sul mondo intero
Le manda o per castigo della terra o in segno di bontà
Porgi l'orecchio a questo, Giobbe, soffèrmati e considera le meraviglie di Dio
Sai tu come Dio le diriga e come la sua nube produca il lampo
Conosci tu come la nube si libri in aria, i prodigi di colui che tutto sa
Come le tue vesti siano calde quando non soffia l'austro e la terra riposa
Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso
Insegnaci che cosa dobbiamo dirgli. Noi non parleremo per l'oscurità
Gli si può forse ordinare: «Parlerò io?». O un uomo può dire che è sopraffatto
Ora diventa invisibile la luce, oscurata in mezzo alle nubi: ma tira il vento e le spazza via
Dal nord giunge un aureo chiarore, intorno a Dio è tremenda maestà
L}Onnipotente noi non lo possiamo raggiungere, sublime in potenza e rettitudine e grande per giustizia: egli non ha da rispondere
Perciò gli uomini lo temono: a lui la venerazione di tutti i saggi di mente
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Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine
Chi è costui che oscura il consiglio con parole insipienti
Cingiti i fianchi come un prode, io t'interrogherò e tu mi istruirai
Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza
Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la misura
Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare
mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio
Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno
quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta
Poi gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e port
e ho detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde»
Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora
perché essa afferri i lembi della terra e ne scuota i malvagi
Si trasforma come creta da sigillo e si colora come un vestito
E' sottratta ai malvagi la loro luce ed è spezzato il braccio che si alza a colpire
Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato
Ti sono state indicate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra funerea
Hai tu considerato le distese della terra? Dillo, se sai tutto questo
Per quale via si va dove abita la luce e dove hanno dimora le tenebr
perché tu le conduca al loro dominio o almeno tu sappia avviarle verso la loro casa
Certo, tu lo sai, perché allora eri nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande
Sei mai giunto ai serbatoi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine
che io riserbo per il tempo della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia
Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d'oriente sulla terra
Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una strada alla nube tonante
per far piovere sopra una terra senza uomini, su un deserto dove non c'è nessuno
per dissetare regioni desolate e squallide e far germogliare erbe nella steppa
Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada
Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina del cielo chi l'ha generata
Come pietra le acque induriscono e la faccia dell'abisso si raggela
Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione
Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli
Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra
Puoi tu alzare la voce fino alle nubi e farti coprire da un rovescio di acqua
Scagli tu i fulmini e partono dicendoti: «Eccoci!»
Chi ha elargito all'ibis la sapienza o chi ha dato al gallo intelligenza
Chi può con sapienza calcolare le nubi e chi riversa gli otri del cielo
quando si fonde la polvere in una massa e le zolle si attaccano insieme
Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini
quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie
Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo
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Sai tu quando figliano le camozze e assisti al parto delle cerve
Conti tu i mesi della loro gravidanza e sai tu quando devono figliare
Si curvano e depongono i figli, metton fine alle loro doglie
Robusti sono i loro figli, crescono in campagna, partono e non tornano più da esse
Chi lascia libero l'asino selvatico e chi scioglie i legami dell'ònagro
al quale ho dato la steppa per casa e per dimora la terra salmastra
Del fracasso della città se ne ride e gli urli dei guardiani non ode
Gira per le montagne, sua pastura, e va in cerca di quanto è verde
Il bufalo si lascerà piegare a servirti o a passar la notte presso la tua greppia
Potrai legarlo con la corda per fare il solco o fargli erpicare le valli dietro a te
Ti fiderai di lui, perché la sua forza è grande e a lui affiderai le tue fatiche
Conterai su di lui, che torni e raduni la tua messe sulla tua aia
L'ala dello struzzo batte festante, ma è forse penna e piuma di cicogna
Abbandona infatti alla terra le uova e sulla polvere le lascia riscaldare
Dimentica che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle
Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, della sua inutile fatica non si affanna
perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha dato in sorte discernimento
Ma quando giunge il saettatore, fugge agitando le ali: si beffa del cavallo e del suo cavaliere
Puoi tu dare la forza al cavallo e vestire di fremiti il suo collo
Lo fai tu sbuffare come un fumaiolo? Il suo alto nitrito incute spavento
Scalpita nella valle giulivo e con impeto va incontro alle armi
Sprezza la paura, non teme, né retrocede davanti alla spada
Su di lui risuona la faretra, il luccicar della lancia e del dardo
Strepitando, fremendo, divora lo spazio e al suono della tromba più non si tiene
Al primo squillo grida: «Aah!...» e da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi, il fragor della mischia
Forse per il tuo senno si alza in volo lo sparviero e spiega le ali verso il sud
O al tuo comando l'aquila s'innalza e pone il suo nido sulle alture
Abita le rocce e passa la notte sui denti di rupe o sui picchi
Di lassù spia la preda, lontano scrutano i suoi occhi
I suoi aquilotti succhiano il sangue e dove sono cadaveri, là essa si trova
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Il Signore riprese e disse a Giobbe
Il censore vorrà ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda
Giobbe rivolto al Signore disse
Ecco, sono ben meschino: che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca
Ho parlato una volta, ma non replicherò. ho parlato due volte, ma non continuerò
Allora il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine e disse
Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai
Oseresti proprio cancellare il mio giudizio e farmi torto per avere tu ragione
Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua
Ornati pure di maestà e di sublimità, rivestiti di splendore e di gloria
diffondi i furori della tua collera, mira ogni superbo e abbattilo
mira ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino
nascondili nella polvere tutti insieme, rinchiudili nella polvere tutti insieme
anch'io ti loderò, perché hai trionfato con la destra
Ecco, l'ippopotamo, che io ho creato al pari di te, mangia l'erba come il bue
Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre
Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi
le sue vertebre, tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro
Esso è la prima delle opere di Dio; il suo creatore lo ha fornito di difesa
I monti gli offrono i loro prodotti e là tutte le bestie della campagna si trastullano
Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto della palude
Lo ricoprono d'ombra i loti selvatici, lo circondano i salici del torrente
Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema, è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca
Chi potrà afferarlo per gli occhi, prenderlo con lacci e forargli le narici
Puoi tu pescare il Leviatan con l'amo e tener ferma la sua lingua con una corda
ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino
Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà dolci parole
Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre
Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue fanciulle
Lo metteranno in vendita le compagnie di pesca, se lo divideranno i commercianti
Crivellerai di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa
Metti su di lui la mano: al ricordo della lotta, non rimproverai
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Ecco, la tua speranza è fallita, al solo vederlo uno stramazza
Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo e chi mai potrà star saldo di fronte a lui
Chi mai lo ha assalito e si è salvato? Nessuno sotto tutto il cielo
Non tacerò la forza delle sue membra: in fatto di forza non ha pari
Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di pelle e nella sua doppia corazza chi può penetrare
Le porte della sua bocca chi mai ha aperto? Intorno ai suoi denti è il terrore
Il suo dorso è a lamine di scudi, saldate con stretto suggello
l'una con l'altra si toccano, sì che aria fra di esse non passa
ognuna aderisce alla vicina, sono compatte e non possono separarsi
Il suo starnuto irradia luce e i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora
Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco
Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco
Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme
Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura
Le giogaie della sua carne son ben compatte, sono ben salde su di lui, non si muovono
Il suo cuore è duro come pietra, duro come la pietra inferiore della macina
Quando si alza, si spaventano i forti e per il terrore restano smarriti
La spada che lo raggiunge non vi si infigge, né lancia, né freccia né giavellotto
stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato
Non lo mette in fuga la freccia, in pula si cambian per lui le pietre della fionda
Come stoppia stima una mazza e si fa beffe del vibrare dell'asta
Al disotto ha cocci acuti e striscia come erpice sul molle terreno
Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti
Dietro a sé produce una bianca scia e l'abisso appare canuto
Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura
Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le fiere più superbe
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Allora Giobbe rispose al Signore e disse
Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te
Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo
«Ascoltami e io parlerò, io t'interrogherò e tu istruiscimi»
Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono
Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere
Dopo che il Signore aveva rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz il Temanita: «La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe
Prendete dunque sette vitelli e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi; il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe»
Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita andarono e fecero come loro aveva detto il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe
Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amici; accrebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto
Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo e mangiarono pane in casa sua e lo commiserarono e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui e gli regalarono ognuno una piastra e un anello d'oro
Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima ed egli possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine
Ebbe anche sette figli e tre figlie
A una mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Fiala di stibio
In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli
Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni
Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni
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- TextGrid Repository (2025). Christos Christodoulopoulos. Job (Italian). Multilingual Parallel Bible Corpus. https://hdl.handle.net/21.11113/0000-0016-9F1E-5